Cos’è la gig economy e perché continua a crescere

Cos’è la gig economy e perché continua a crescere

Gig economy

Trovare un impiego di carattere continuativo è sempre più problematico, per un gran numero di persone. La rivoluzione in atto nel mondo del lavoro, infatti, ha eroso diritti che un tempo sembravano acquisiti. Basti pensare a quanto accaduto in Italia, ove il Jobs Act di Matteo Renzi ha praticamente segnato la fine del posto fisso nel nostro Paese, a detta degli analisti.

Il nuovo modello che sta emergendo è quello che vede un gran numero di lavoratori precari, costretti ad accettare lavori a termine, con archi temporali sempre più ristretti. O, addirittura, facendo singoli lavori, con retribuzioni spesso molto modeste. In quest’ultimo caso si parla di gig economy. Andiamo quindi a vedere questo nuovo regime lavorativo più da vicino per cercare di capire di cosa si tratti realmente.

Cos’è la gig economy

La gig economy è quella organizzazione del lavoro che prevede l’effettuazione di lavori saltuari, senza alcuna garanzia di carattere contrattuale. Lavori che, in casi estremi, possono ridursi a singole prestazioni di pochi minuti. Il termine è entrato a far parte del lessico comune grazie ad Hilary Clinton, che lo utilizzò nella campagna per le presidenziali statunitensi del 2016.

Il caso tipico di gig economy è quella innescata dalla consegna di cibo utilizzando un proprio mezzo privato (ad esempio la bici o il motociclo) o usandolo alla stregua di un taxi. Ma sono moltissimi i lavori che, ormai, prevedono l’effettuazione di prestazioni limitate all’insorgenza di un bisogno. Un regime che viene alimentato in particolare dall’utilizzo delle tecnologie di ultima generazione, a partire dal web.

Una vera e propria giungla senza regole

Proprio Hilary Clinton, peraltro, è stata la prima ad affrontare il problema legato all’assenza di qualsiasi tipo di regola nel settore. Una tesi poi fatta propria anche da Theresa May, il primo ministro del Regno Unito poi caduta sotto i colpi della Brexit. Non esistendo contratti, non è infatti possibile dare una copertura a questa particolare categoria di lavoratori, sotto forma di tutele.

Lasciando in tal modo la porta aperta a qualsiasi genere di abuso. Come dimostrano le lamentele dei fattorini che consegnano il cibo a domicilio, i soli o quasi che per ora siano riusciti a portare all’attenzione dell’opinione pubblica una situazione molto difficile.

La gig economy continua a crescere

Va peraltro sottolineato come il settore della gig economy stia dando luogo ad una crescita sempre più intensa. Come dimostrato dalle statistiche disponibili. Se sino al 2010 nel nostro Paese le persone che facevano questo genere di lavoro ammontavano a circa 100mila, nel 2016 si erano già attestate a quota un milione e ottocentomila.

Occorre anche sottolineare come le statistiche, fornite da Istat, riguardino esclusivamente coloro che vengono pagati con i voucher. Si presume quindi che i reali interessati siano molti di più.

Una crescita la quale è sicuramente proseguita nel corso degli ultimi anni, proprio per effetto di una parcellizzazione sempre più accentuata del mondo del lavoro. Che la politica non ha saputo (o voluto) affrontare.

Una richiesta di diritti ignorata dalla politica

In Italia soltanto una parte politica ha riservato la sua attenzione alla gig economy. Si tratta del Movimento 5 Stelle, il quale nel corso delle ultime politiche ha affermato l’esigenza di dare vita ad una legislazione unitaria per il settore, puntando sul sistema dei voucher.

Per il resto del quadro politico, sembra che la gig economy non esista. E in questo quadro, non stupisce la contrarietà verso la proposta del salario minimo avanzata da Luigi Di Maio, il quale potrebbe rappresentare una soluzione al problema.

Una contrarietà che sembra destinata a lasciare la porta aperta ad ogni tipo di abuso, affermando la necessità di mantenere alta la competitività del Sistema Italia. Pensando magari che le retribuzioni spesso da fame che caratterizzano peraltro anche settori tradizionali, si pensi all’agricoltura, possano veramente contribuire a conservarla, e non ad abbatterla ancora di più, annichilendo il mercato interno.

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