Nei momenti di grande turbolenza, sui mercati torna ad aleggiare lo spettro del default per gli Stati che non sono in grado di rispettare alcuni parametri finanziari.
Uno spettro che aleggia spesso sull’Italia, non si sa quanto a ragione, ma che ha colpito in passato molti altri Paesi. Tra i quali qualcuno di quelli che oggi bacchetta il nostro, come quella Germania che per ben tre volte (1932, 1939, 1948) ha dovuto dichiarare di non poter fare fronte agli impegni assunti nei confronti di chi aveva sottoscritto i suoi titoli.
In questa complessa vicenda, un ruolo estremamente importante viene giocato dai Credit Default Swap (CDS). Si tratta in pratica dei famigerati derivati, cui sempre più analisti ed esperti guardano con grande timore. Un timore che sembra del tutto giustificato.
Il rischio di credito
Per capire meglio i CDS e il loro ruolo, occorre però partire dal rischio di credito. Il quale viene definito di solito come la possibilità che una variazione inattesa del merito di credito possa creare una variazione di notevoli proporzioni nel valore corrente della posizione creditizia.
Per capire meglio, si può dire che nel caso in cui il merito di credito peggiora, il valore corrente dell’esposizione diminuisce. Il valore corrente dell’esposizione a sua volta, sarebbe il fair value, ossia il prezzo che un compratore o un mercato secondario potrebbe attribuire all’esposizione ove decidesse di cederla.
Il rischio di credito, a sua volta, può verificarsi in vari modi. In particolare sotto forma di:
- rischio d’insolvenza, ovvero che la controparte debitrice entri in una fase tale da impedirgli di ottemperare gli impegni presi, dichiarando fallimento o non essendo in grado di ottemperare regolarmente ai pagamenti previsti, come è accaduto all’Argentina;
- rischio di downgrading, derivante da un peggioramento della qualità creditizia della controparte, e del suo rating;
- rischio di spread, legato ad un possibile innalzamento di quelli richiesti dal mercato;
- rischio di esposizione, reso possibile dall’aumento dell’ammontare dell’esposizione creditizia con l’approssimarsi del default;
- rischio di recupero, ossia che il valore del credito effettivamente recuperato risulti inferiore alle stime effettuate in precedenza;
- rischio di pre-regolamento, ovvero che la controparte della negoziazione in derivati OTC (acronimo di Over The Counter, quelli scambiati fuori dai mercati regolamentati) possa rivelarsi insolvente prima della scadenza del derivato stesso;
- rischio paese, che caratterizza in particolare quelli in cui la situazione politica, sociale ed economica non ispiri eccessiva fiducia agli investitori.
Cosa sono i Credit Default Swap
Il CDS può essere in pratica definito lo strumento che consente di trasferire il rischio di credito da un’entità ad un’altra, rivelandosi alla stregua di una assicurazione finanziaria.
Si tratta di un contratto con il quale il detentore di un credito o comunque il richiedente protezione (protection buyer) si accolla l’impegno di corrispondere una somma fissa periodica, solitamente espressa in punti base rispetto a un capitale nozionale, ad una controparte (protection seller) che si prende in carico il rischio di credito gravante su quell’asset. Non solo in caso di default, ma anche di insolvenza, ovvero il mancato pagamento di cedole ed interessi (credit event).
Occorre anche specificare che la somma fissa periodica che deve essere versata dal richiedente protezione è direttamente proporzionale al rischio che viene trasferito. Funziona cioè alla stregua di un vero e proprio premio assicurativo.
Perché i Credit Default Swap destano tante polemiche?
Ai CDS, proprio in quanto derivati, sono collegate ormai da anni ricorrenti polemiche. A destarle è il fatto che essi possono essere non solo strumenti di gestione del rischio di credito, ma anche strumenti puramente speculativi.
Per capire meglio questo aspetto occorre ricordare che il sottostante del derivato è unicamente il merito creditizio e non il vero e proprio credito. Gli investitori possono anche non detenere i titoli e cedere il rischio di perdite in caso di fallimento dell’emittente delle obbligazioni (Stato, enti pubblico o società privata).
In tal modo realizzano la copertura senza che sia avvenuto alcun trasferimento di proprietà dei titoli. Una modalità di trading che fa concorrenza alla vendita allo scoperto. Tanto da essere additata da molti analisti alla stregua di un pericolo di non poco conto per l’intero sistema economico e finanziario.
Non possono essere negoziati sui mercati regolamentati
A rendere ancora più equivoca la loro fama è il fatto che i CDS non possono essere oggetto di contrattazione sui mercati regolamentati. A impedirlo è il fatto che sia praticamente impossibile standardizzarli.
In conseguenza di ciò sono invece scambiati sui mercati Over The Counter, ove non è previsto un non è previsto un sistema di garanzie vero e proprio. Tanto da essere indicati dai detrattori alla stregua di vere e proprie bische clandestine.
La storia dei CDS
La storia dei Credit Default Swap ha inizio nel 1994, quando fu un gruppo di esperti di JP Morgan a riunirsi a Boca Raton per affrontare il problema posto da Exxon. La compagnia petrolifera, infatti, era stata condannata a pagare oltre un miliardo di risarcimenti e ne chiedeva 5 sotto forma di linea di credito.
Il motivo di questa riunione era in pratica l’aggiramento delle regole imposte dal comitato interbancario di Basilea. In base alle quali un istituto creditizio doveva detenere un buffer di liquidità di almeno l’8% rispetto all’attivo ponderato per il rischio.
Aggiramento che divenne possibile proprio trasferendo il rischio di credito ad un terzo soggetto, l’ERBD, acronimo di Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo. In tal modo nacque il primo CDS, con grandi implicazioni sul futuro.
I CDS di Deutsche Bank
Perché si parla tanto di derivati? Uno dei motivi sta nel fatto che ormai da anni gli occhi degli analisti sono puntati su Deutsche Bank. La maggiore banca privata tedesca, infatti detiene una quantità di CDS pari a 20 volte l’intero PIL teutonico. Una quantità che secondo molti esperti avrebbe lo stesso valore della carta straccia.
Ove la banca dovesse fallire sotto la mole dei derivati tossici, come sono spesso indicati dall’opinione pubblica, per il sistema economico globale la crisi successiva allo scoppio della bolla dei mutui Subprime potrebbe rivelarsi alla stregua di una passeggiata di salute.