Chi sa gestire meglio il denaro, gli uomini o le donne? Si tratta di una domanda che ricorre spesso e che ha un senso, soprattutto in considerazione del fatto che un tempo le seconde non partecipavano alla gestione finanziaria all’interno della famiglia.
Quando hanno iniziato a farlo, a seguito dell’evoluzione sociale, si sono venuti a formare alcuni stereotipi, tendenti a metterle in cattiva luce sotto questo punto di vista. Stereotipi naturalmente interessati, funzionali a lasciare il dominio sotto questo punto di vista agli uomini.
I quali, però, stanno cedendo il passo alla logica delle cose. Permettendo alle donne di raggiungere una posizione di rilievo all’interno delle organizzazioni economiche e politiche. Come dimostra il caso di Christine Lagarde, governatore della Banca Centrale Europea.
Un nuovo protagonismo in campo finanziario
Sino a qualche decennio fa alle donne spettava spesso il compito di gestire i soldi all’interno della famiglia. L’uomo al lavoro portava a casa il necessario per vivere (non sempre), affidando alla donna il compito di suddividere le risorse sulla base delle esigenze. Le donne che lavoravano erano poche, spesso solo se la quantità di denaro guadagnata dall’uomo non bastava.
Nel corso degli ultimi decenni, però, la situazione è iniziata a cambiare e sempre più donne hanno avuto accesso al mondo del lavoro. Diventando autonome anche da un punto di vista puramente finanziario. Basti pensare che nel periodo compreso tra il 2002 e il 2007 il loro reddito è passato da 3 a 9,8 trilioni di dollari, a livello globale. Mentre tra il 2008 e il 2012 il numero di donne in grado di dedicarsi agli affari da sole è cresciuto dal 43 al 60,4%.
La ricchezza globale detenuta dalle donne
Per effetto di questa logica evoluzione, è cresciuta naturalmente anche la quota di ricchezza globale detenuta dalle donne. Secondo il Global Wealth Report del 2018, questa quota ha infatti raggiunto il 40%.
Un trend il quale ha permesso ad un numero sempre maggiore di esse di misurarsi con la gestione del denaro. Rendendo quindi possibile un paragone probante con l’altra metà del cielo, sotto questo particolare punto di vista.
Le donne sono più prudenti
Quante volte si sente dire che le donne hanno le mani bucate? Una vera e propria leggenda metropolitana dura a lasciare il passo alla realtà. Che è notevolmente diversa. Come dimostra una ricerca del 2018 elaborata da Doxa e presentata presso il Senato della Repubblica, avente come tema la propensione ad un investimento sostenibile.
A spiegare i risultati del rapporto è stato Simone Pizzoglio, Head of Department Data Science & Customer Experience di Doxa, il quale ha ricordato come da esso emerga un dato ben preciso: le donne sono più propense a prediligere gli investimenti a basso rischio (59% a fronte del 49% degli uomini). Inoltre mettono in evidenza maggiore sensibilità per i temi ambientali, sociali e di governance (ESG), preferendo indirizzarsi verso prodotti d’investimento socialmente responsabili (SRI). Un trend condiviso dal 77% delle intervistate che hanno investito nel 2017 risparmi per almeno mille euro, otto punti in più rispetto agli uomini.
La conclusione tratta dai ricercatori sembra non lasciare dubbi: le donne sono più prudenti degli uomini nella gestione delle finanze. A dispetto quindi di quanto troppo spesso si sente dire.
Un caso clamoroso
Nel quadro del discorso che stiamo affrontando, va anche menzionato un altro studio, stavolta elaborato in Francia. Il report, il cui compito era quello di occuparsi della crisi economica globale innescata dallo scoppio della bolla dei mutui Subprime, ha riportato un dato molto curioso. Ricordando come nel 2008 Crédit Agricole, il quale poteva vantare appena il 16% dei manager donna, ha subito un crollo azionario del 62%. Quasi il doppio rispetto al 39% della concorrente Bnp Paribas, ove la rappresentanza femminile era più ampia.
Naturalmente questo dato non basta per arrivare a conclusioni definitive, ma può essere preso come spunto per confermare la maggiore prudenza, e anche maggiore accortezza, nella gestione finanziaria da parte delle donne.
Una maggiore prudenza derivante dalla minore forza salariale?
Come si può facilmente capire, quindi, non è facile stabilire chi gestisca meglio i soldi tra uomini e donne. La cosa sicura è che troppe leggende metropolitane hanno distinto sinora una discussione che dovrebbe invece essere fondata sui dati.
In tal senso, ad esempio, si potrebbe cercare di capire se la maggiore prudenza delle donne evidenziata dallo studio della Doxa non sia da ricondurre al gap salariale di genere ancora esistente. Ricordato da uno studio di Eurostat sul gender pay gap, ovvero la differenza esistente, a parità di mansione, fra lo stipendio di un uomo e quello di una donna. Il quale fornisce alcuni dati su cui riflettere molto, in particolare per l’Italia.
Nel nostro Paese, infatti, tale gap è molto più contenuto rispetto al resto dell’Unione Europea, attestandosi al 5,3%, contro il 16,6% del resto del continente. Il dato è però fuorviante, in quanto in Italia le donne che lavorano sono notevolmente di meno rispetto alla media UE. Sarebbe interessante capire se questa situazione si rifletta o meno sulla propensione al rischio nell’investimento finanziario.