La crisi economica innescata dalla pandemia di Covid-19 sta costringendo politici ed economisti ad interrogarsi su come arginarne gli effetti. Le esigenze sanitarie tese a circoscrivere il virus, infatti, hanno di fatto cancellato milioni di posti di lavoro in buona parte del globo.
I notiziari relativi agli Stati Uniti e all’Unione Europea, assomigliano sempre di più a veri e propri bollettini di guerra. E potrebbero diventare una triste consuetudine, se si pensa che con l’approssimarsi dell’autunno l’ipotesi di una seconda ondata di coronavirus torna a fare capolino. Spingendo più di un governo a prospettare nuove chiusure delle attività produttive. In un quadro simile, continuare a pensare seguendo vecchi schemi diventa un vero e proprio suicidio.
Riduzione dell’orario di lavoro: la proposta di Sanna Marin
Ridurre l’orario di lavoro da 8 a 6 ore: questa è la proposta di Sanna Marin, Primo Ministro della Finlandia. Lanciata nel corso del 46° congresso del partito socialdemocratico finlandese, di scena a Tampere, essa si fonda su un assunto ben preciso, ovvero l’aumento di produttività che ne scaturisce. Inoltre, la proposta della Marin prevede un altro aspetto qualificante, ovvero l’intangibilità del livello salariale precedente. Una differenza di non poco conto con altre proposte analoghe. Non a caso osteggiata dalle organizzazioni imprenditoriali.
Il PD: lavorare meno e guadagnare meno
La proposta di Sanna Marin si iscrive in un pensiero di lunga data, quello del movimento operaio internazionale. Ci si aspetterebbe che anche in Italia il partito che afferma di riferirsi (anche) a quella tradizione la facesse sua. Non è così, nel caso del Partito Democratico. Il quale ha invece appoggiato l’idea di ridurre l’orario di lavoro, ma anche le retribuzioni.
Una idea del tutto paradossale, in quanto in tal modo si potrebbero forse garantire i posti di lavoro, ma al contempo si provocherebbe un impoverimento generale. Proprio quello che si dovrebbe evitare in tempi di coronavirus imperante. Resa ancora più balzana da un altro corollario del progetto dem: limitare ai dipendenti a tempo parziale le assunzioni nel settore pubblico.
La proposta di Die Linke
Di segno completamente opposto è invece la proposta di Die Linke, partito di sinistra tedesco. Il quale propone a sua volta la riduzione dell’orario di lavoro a 30 ore settimanali, a parità di stipendio.
Una proposta naturalmente avversata dalle organizzazioni confindustriali, secondo le quali il sistema perderebbe in termini di competitività. Gli imprenditori preferirebbero in effetti una formula simile a quella proposta dal PD, ovvero tale da prevedere concomitanti tagli di stipendio.
Se il mercato interno ne risentirebbe in maniera notevole, nelle loro speranze sarebbero le esportazioni a compensarle. Una teoria forse azzardata, nel momento in cui gran parte del globo sta avviandosi verso una gelata dei consumi.
Le statistiche sono a favore di Sanna Marin
Se le posizioni in campo sono molto frastagliate, va detto che a favore della proposta di Sanna Marin giocano proprio i dati reali. Sono proprio le statistiche, infatti, a rivelare che la riduzione delle ore di lavoro non si traduce in una perdita di produttività, ma nel suo esatto opposto.
Basti pensare all’esperimento condotto da Microsoft Japan, che ha introdotto la settimana lavorativa di quattro giorni senza nessuna riduzione della retribuzione. I dati che sono stati forniti dall’azienda nipponica sono abbastanza eloquenti: nel corso del periodo di prova, infatti la produttività è aumentata del 40%. Un dato reso possibile dal pratico dimezzamento della durata delle riunioni interne e dai risparmi che sono stati registrati in termini di elettricità e di carta utilizzata, con un effetto positivo anche sull’ambiente.
Naturalmente la sperimentazione è stata accolta con grande entusiasmo dai dipendenti, in un Paese ove ormai da tempo esiste un problema di ritmi di lavoro insostenibili. Talmente acuti da aver spinto molte persone al suicidio, proprio a causa della pesantezza dei ritmi imposti.
Cosa potrebbe accadere in Italia?
Il discorso sulla riduzione dell’orario di lavoro è molto avvertita anche in Italia, per ovvi motivi. Il nostro Paese, infatti, ha pagato un costo elevato alla crisi sanitaria, con la scomparsa di un gran numero di posti di lavoro. Cui potrebbe porre riparo proprio una formula di questo genere.
Il sistema produttivo tricolore, però, presenta un problema di non poco conto. Il settore dei servizi, quello che potrebbe essere il più interessato da una riforma di questo genere, è ancora poco sviluppato. La nostra organizzazione produttiva è ancora fondata sull’industria e il sistema di relazioni tradizionale, fondato sul sindacato e sulla contrattazione collettiva, non è pronto per una soluzione calata dall’alto.
Potrebbe quindi rendersi necessario sperimentare a lungo, prima di procedere ad una ridefinizione del quadro normativo. Sapendo comunque che Covid o meno, la riduzione dell’orario di lavoro sta diventando ormai una soluzione quasi obbligata per fare fronte alla perdita di posti che potrebbe derivare dalla rivoluzione tecnologica in atto.
Il problema dei consumi
I processi di automazione in atto, in effetti, sembrano destinati a cancellare una quota di posti di lavoro. La perdita di essi, in assenza di un welfare adeguato, avrebbe riflessi di non poco conto sui consumi. Tali da rendere del tutto assurdo parlare di aumento di produttività con i piazzali di stoccaggio pieni di prodotti invenduti. Ecco il motivo per il quale la riduzione dell’orario di lavoro è ormai un tema all’ordine del giorno. E, soprattutto, da affrontare con gli occhi rivolti al futuro, non al passato.