L’evasione fiscale continua a rappresentare un grande problema per l’Italia. Chi la pratica, infatti, non solo sottrae risorse importanti che potrebbero andare a finanziare i servizi accordati dallo Stato, ma ne usufruisce senza averne diritto.
Inoltre occorre ricordare che proprio l’evasione fiscale porta un ulteriore danno collaterale gravissimo, al Paese. Come è noto, infatti, ogni anno la Commissione Europea è chiamata a valutare i conti pubblici. Tra i dati che devono essere esaminati per poter dare un giudizio, c’è anche il Prodotto Interno Lordo (PIL), il quale va rapportato al deficit per poter rientrare nei paletti imposti dall’UE.
E’ del tutto chiaro che le somme sottratte al fisco impongono di limitare proprio il deficit, ovvero gli investimenti, costringendo in pratica l’esecutivo a mettere in campo le famigerate politiche di austerity che stanno appesantendo oltremodo il sistema produttivo italiano, costringendolo a fare a meno di investimenti che sarebbero fondamentali. Ecco perché è necessario ridurre l’evasione fiscale.
I numeri dell’evasione fiscale in Italia
A quanto ammonta l’evasione fiscale, in Italia? A rendere noti i dati è l’Istat, nel suo rapporto sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva, documento che accompagna la Nota di Aggiornamento al Deficit (Nadef). Sono ben 211 i miliardi di euro sottratti al fisco nell’ultimo anno, pari al 12% dell’intero PIL. Con una crescita dell’1,5% rispetto al dato precedente.
Chi evade di più? I lavoratori autonomi, che riescono a non versare quasi il 70% dell’IRPEF dovuta, ovvero oltre 32 miliardi di euro. Mentre se si prende come riferimento l’IVA, il dato è ancora più clamoroso: nel nostro Paese, infatti, vengono evasi oltre 33 miliardi. Un dato che da solo costituisce il 25% di quello dell’Unione Europea, un record di cui, purtroppo, c’è poco da vantarsi.
A riepilogare le conseguenze di tutto ciò è stato Gian Carlo Blangiardo, il presidente di Istat, secondo il quale la persistenza di livelli così elevati di evasione fiscale costituisce un danno non solo per la crescita, ma anche per la capacità competitiva del Paese.
La lotta contro l’evasione delle tasse continua a produrre risultati scarsi
Come abbiamo visto, quindi, l’evasione fiscale è una zavorra per i conti pubblici, riflettendosi in negativo sulla capacità competitiva del Paese. In pratica le somme sottratte impediscono una crescita del PIL, in quanto costringono l’apparato fiscale a rifarsi su chi invece paga. I soldi che se ne vanno in tasse, infatti, sono in pratica sottratti al consumo e agli investimenti e, quindi, al dato complessivo sulla ricchezza creata dal Paese.
Per cercare di ovviare all’inconveniente, le autorità fiscali hanno da tempo varato attività di contrasto all’evasione fiscale. Con i risultati che abbiamo visto, non proprio brillantissimi. Ma oltre ad esse lo Stato potrebbe fare qualcosa, per provare a sanare la situazione.
Un errore da evitare: tagliare il settore pubblico
Prima di parlare di cosa dovrebbe fare lo Stato, è però il caso di dire quello che non dovrebbe fare, per non provocare danni ancora più estesi. Secondo alcuni settori politici, infatti, si dovrebbe tagliare la spesa pubblica. Ora, se per spesa pubblica si intendono i servizi dati dallo Stato (ad esempio la sanità, la scuola, i trasporti e altro), proprio i tagli del passato hanno in pratica danneggiato ulteriormente il Paese. Va infatti ricordato che i servizi pubblici non solo sono dovuti in cambio delle tasse, ma sono anche un volano di ricchezza.
In particolare, occorre ricordare che il welfare non è un peso, anzi. Basti dare un’occhiata al “Rapporto sul Bilancio di welfare delle famiglie italiane” curato da Mbs Consulting, gruppo italiano indipendente di business consulting, presentato a Roma, presso Palazzo San Macuto nel mese di marzo del 2019 per capire meglio.
Il documento, infatti, lo considera un «settore produttivo» a tutti gli effetti, in grado di macinare ben 143,4 miliardi nel corso del 2018, facendo registrare quindi una crescita del 6,9% rispetto all’anno precedente e andando a rappresentare l’8,3% del PIL. Si tratta, cioè, di una delle principali industrie del Paese, se si pensa che supera il fatturato di quella assicurativa (139,5 miliardi di raccolta tra ramo danni e vita) e del settore alimentare (137 miliardi di fatturato). Oltre a sorpassare agevolmente la moda (95,7 miliardi) e la filiera del mobile (41,5 miliardi).
Cosa dovrebbe fare lo Stato per incrementare il PIL?
Una volta precisato che il settore statale non dovrebbe essere tagliato, ma anzi rinforzato, come è stato reso evidente dalla scarsa tenuta del sistema sanitario di fronte all’incedere del Covid-19, si può invece iniziare a parlare di cosa lo Stato dovrebbe fare per incrementare il PIL.
Se è abbastanza scontato che dovrebbero essere evitati gli sprechi nel bilancio pubblico, il vero tema da affrontare è quello delle tasse. Le quali sono troppo elevate nel nostro Paese, tanto da spingere alcune grandi imprese ad optare per legislazioni più favorevoli, in particolare quelle dei paradisi fiscali europei (Olanda, Irlanda, Lussemburgo e molti altri).
Occorre quindi abbattere in maniera drastica la pressione fiscale, eliminando in tal modo anche l’alibi per chi continua ad evadere allegramente. Inoltre si dovrebbe precisare meglio il welfare a favore di chi è escluso dal mondo del lavoro. Una categoria che, nel nostro Paese, annovera milioni di persone. Le quali prima del Reddito di Cittadinanza erano in pratica escluse dal consumo, danneggiando il circolo economico.
Il Reddito Universale di Base
Il Reddito di Cittadinanza, stando a quanto affermato dalla Commissione Europea, si è rivelato un successo in Italia, nonostante le tante polemiche che ne hanno accompagnato l’istituzione. Si tratta però di una realizzazione ancora incompleta, se pur preziosa, secondo molti. Tanto da spingere settori della politica ad affermare la necessità di arrivare ad una forma di sostegno molto più forte, ovvero il Reddito Universale di Base.
Ad affermarlo è, ad esempio, Alexandria Ocasio-Cortez, democratica statunitense. O settori politici di Paesi come Gran Bretagna, India, Nuova Zelanda, Corea del Sud e altri. In questo caso, il sostegno spetterebbe a tutti i cittadini non lavoratori e in maniera del tutto automatica.
Se potrebbe avere costi molto elevati, va anche detto che sembra l’unico modo per poter permettere a tutti di partecipare effettivamente alla vita sociale ed economica. Una proposta quindi futuribile, ma che sembra ormai matura in epoca di Covid-19. Nella quale decine di milioni di posti di lavoro sono scomparsi in ogni parte del mondo.