I tassi d’interesse negativi erano considerati sino a qualche anno fa una semplice teoria. Oggi, però, non è più così e hanno fatto la loro comparsa nell’economia reale. Cosa è accaduto, per arrivare a tanto?
La causa scatenante è stata la gravissima crisi economica che ha fatto seguito allo scoppio della bolla dei mutui Subprime, negli Stati Uniti. Una vera e propria gelata che ha riversato conseguenze di larga portata sull’economia globale. Spingendo le banche centrali a cercare di ovviare proprio coi tassi d’interesse negativi.
Tassi d’interesse negativi: cosa sono e perché vengono attivati
I tassi di interesse negativi hanno luogo quando i depositi in contanti invece di essere premiati con interessi attivi comportano un addebito per lo stoccaggio presso una banca. Se normalmente le banche premiavano chi depositava i propri soldi su un conto acceso presso di esse, in questo caso sono i depositanti a dover pagare per la conservazione dei propri soldi nelle casse di un istituto bancario.
Naturalmente, una decisione di questo genere, proprio per il suo carattere eccezionale, ha una ratio ben precisa. Si tratta infatti di un provvedimento teso a spingere soldi liquidi verso l’economia reale, sotto forma di investimenti e prestiti, con il preciso fine di rilanciarla. Lo scenario in cui hanno luogo i tassi d’interesse negativi, è infatti caratterizzato da una frenata o una caduta prolungata degli indici economici.
Le necessità dell’economia reale
I tassi di interesse negativi hanno fatto la loro comparsa nel corso degli ultimi anni. Ad adottarli sono state ad esempio le banche centrali del Giappone, della Danimarca, della Svizzera e della Svezia.
La motivazione di questa mossa è da ricercare nella vera e propria gelata dei consumi che ha avuto luogo dopo il crac del 2008. La crisi economica ha infatti non solo comportato la perdita di posti di lavoro, ma anche una lunga serie di chiusure le quali hanno impedito a molti clienti del sistema bancario di ripagare i mutui e gli altri finanziamenti contratti in precedenza.
Le banche si sono così ritrovate a dover gestire una mole imponente di crediti deteriorati, ovvero impossibili da riscuotere. La loro decisione è stata quindi una chiusura dei rubinetti, ovvero lo stop ai prestiti. A meno che i richiedenti non fossero assolutamente sicuri.
La risposta delle banche centrali
Proprio per impedire la totale chiusura del settore creditizio alle istanze dell’economia reale (imprese e famiglie), le banche centrali hanno quindi deciso di ricorrere a politiche anticonvenzionali. Come, appunto, la fissazione di tassi di interesse negativi.
Le banche, infatti, devono a loro volta depositare i soldi che eccedano il livello a loro consentito per legge. In un regime di tassi negativi, devono quindi pagare per poterli stoccare. Per evitare questa sorta di tassa, almeno in teoria, dovrebbero quindi essere spinte a concederli con maggiore facilità a famiglie e imprese che richiedano finanziamenti.
I tassi d’interesse negativi hanno funzionato?
Una volta chiarito cosa siano i tassi d’interesse negativi, resta solo da capire se essi abbiano effettivamente funzionato. Ovvero se il sostegno delle banche all’economia reale è aumentato nella maniera sperata dalle banche centrali e dai governi che li hanno adottati.
Va però anche sottolineato come, nel nostro Paese (ma non solo), le banche abbiano preferito riempirsi la pancia di titoli del debito pubblico, piuttosto che allargare i cordoni della borsa a favore di famiglie e imprese. Tanto da spingere le associazioni dei consumatori e altri organismi a denunciare la reiterata chiusura come vero e proprio aiuto all’usura.